INTERVISTA
“La neuropsichiatria infantile
crea un ponte tra mente e cervello”
Il compito del medico è coniugare empatia e professionalità per far emergere, anche grazie all’alleanza con le famiglie, le problematiche di sviluppo e di crescita dei bambini e dei ragazzi al fine di elaborare il progetto diagnostico e terapeutico più efficace. Perché ogni paziente è unico.
Dottor Nardocci,
il suo è un percorso professionale lungo e di successo. Ce lo racconta in estrema sintesi?
Mi sono laureato in Medicina e Chirurgia a Pavia – dove ho successivamente insegnato -, specializzandomi in neuropsichiatria e neurologia. Ho iniziato la mia carriera clinica e scientifica all’Istituto Neurologico Besta di Milano, dove sono rimasto per la mia intera carriera professionale. Prima come assistente, poi come primario e infine come Direttore
del Dipartimento di Neuroscienze Pediatriche e di Neuropsichiatria Infantile.
Qual è l’elemento che ha sempre accompagnato
la sua lunga carriera?
La convinzione che non ci sia eccellenza clinica senza eccellenza della ricerca e viceversa. L’Istituto Besta è un centro riconosciuto a livello internazionale ed è all’avanguardia non solo per il livello tecnologico della diagnostica e dei trattamenti innovativi, ma per le modalità di approccio al paziente che combinano attività clinica e ricerca. Una metodologia di approccio di tipo traslazionale che unisce competenze diverse verso lo stesso obiettivo. Grazie a questo mi è stato possibile affiancare il lavoro clinico ad una importante attività scientifica, concretizzatasi nella produzione di oltre 200 lavori scientifici su riviste internazionali.
Su quali campi clinici e scientifici si è concentrato
il suo lavoro?
La neuropsichiatria infantile è una disciplina complessa, che si occupa di patologie e disordini molto diversi. Alcune condizioni sono espressione della maturazione cerebrale, altre possono essere molto serie ad andamento cronico, con gradi anche marcati di disabilità.
La mia attività clinica e scientifica si è sempre più concentrata sull’identificazione di criteri diagnostici e prognostici specifici fondamentali per la diagnosi e la terapia.
Come descriverebbe il suo approccio terapeutico?
Ogni paziente è un unicum. Per coglierlo nella sua complessità, è necessario indagarlo in senso neurobiologico, ossia cervello e mente. L’evoluzione delle tecnologie ha permesso di utilizzare molti strumenti per conoscere il funzionamento del cervello, che si sono però dimostrati meno rilevanti per lo studio della mente.
È importante un approccio integrato che combini neurologia pediatrica e psichiatria infantile. La consapevolezza delle relazioni tra cervello e mente in molti disturbi richiede un cambiamento culturale dove la competenza scientifica si affianchi all’ascolto del paziente e dei suoi familiari.
Qual è il ruolo
della famiglia?
È un ruolo fondamentale. L’alleanza terapeutica tra medico, paziente e famiglia è fondamentale sia dal punto di vista emotivo che comunicativo, così come l’adesione dei familiari nella fase di diagnosi e nel trattamento.
Alla luce dell’enorme aumento di conoscenze occorso negli ultimi anni, la sfida fondamentale è quella finalizzata alla comprensione dei meccanismi responsabili dei vari disturbi e malattie. La possibilità quindi di utilizzare terapie personalizzate in grado di modificare il meccanismo responsabile della malattia.